Autobiografia
Succede a un certo punto della vita, a volte dopo un’esperienza particolarmente forte, che nasca la voglia di raccontarsi, di mettere per iscritto la propria storia.
Può partire da una domanda nata per capirsi meglio: ” Chi sono io veramente?” Oppure dalla voglia di fermare le esperienze fatte e metterle in fila, per ricordare.
Scrivere la propria autobiografia può essere terapeutico e diventare un sostegno in una fase di passaggio, utilizzandola cioè come oggetto transizionale (Winnicott). Come il bambino, che stringe l’orsacchiotto o la famosa coperta di Linus per addormentarsi, così anche da adulti l’autobiografia può diventare l’oggetto che rassicura. Infatti a mano a mano che la scriviamo, la nostra storia si fa più chiara, la creiamo di nuovo e questo renderla nostra ci sostiene e ci accompagna nei momenti di ansia e di transizione.
In prima persona
L’autobiografia è solitamente scritta in prima persona: l’Io è al centro. Per fare un paragone con il mondo della fotografia, l’autobiografia è come un autoritratto.
Duccio Demetrio scrive che nell’autobiografia si può fare esperienza, seguendo Bion, di essere il contenuto (cioè i fatti che raccontiamo) e il contenitore ( cioè lo sforzo che facciamo per tenerci insieme, per dare loro forma).
La ricerca del significato è fondamentale in ogni autobiografia: ricordiamo e scriviamo per trovare un senso a ciò che è stato. Questa ricerca di senso che l’autobiografia porta in sé ha anche un valore terapeutico, perché permette di riflettere su se stessi ed esplorare la propria identità.
Per Andrea Bocconi, psicoterapeuta e scrittore, la funzione terapeutica dell’autobiografia è data dal fatto che le “cose si mettono a un braccio di distanza”, il nostro braccio che scrive: questo permette che ciò che scrivo sia mio ma non mi catturi completamente.
“Ridimensiona l’Io dominante e lo degrada a un io necessario – anche per l’opera autobiografica – che possiamo chiamare l’Io tessitore, che collega e intreccia; che, ricostruendo, costruisce e cerca quell’unica cosa che vale la pena cercare – per il gusto di cercare – costituita dal senso della nostra vita e della vita” (D. Demetrio)
L’autobiografia spinge a trovare il filo che lega le esperienze che abbiamo attraversato e mette in relazione parti di noi, i numerosi Io che siamo stati. La funzione di cura è facilitata da una particolarità del romanzo autobiografico: chi racconta è anche il protagonista delle vicende. Questo porta al bisogno di sdoppiarsi per rivedere e dare significato alle varie esperienze di vita, grazie alla distanza da cui le guardiamo. Infatti attraverso un movimento di distanziamento, diventando spettatori della propria vita, ci si può raccontare ed elaborare i propri vissuti.
“Quando ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto, creiamo un altro da noi. Lo vediamo agire, sbagliare, amare, soffrire, godere, mentire, ammalarsi e gioire: ci sdoppiamo, ci bilochiamo, ci moltiplichiamo” (D. Demetrio)
Vi è inoltre un’autobiografia del presente, non solo quella del passato. Lo scrivere del presente ci aiuta a rivedere e ripensare a quello che accade, ed è un incoraggiamento a usare bene il tempo futuro.
“L’autobiografia è un viaggio formativo, e non un chiudere i conti ” (D. Demetrio)
Anche nel mio lavoro uso spesso, indipendentemente dall’età dei partecipanti, la scrittura autobiografica, a volte abbinandola alla fotografia: qui ci sono alcuni esempi.
I poteri del lavoro autobiografico
Secondo D. Demetrio l’autobiografia crea cinque condizioni potenti:
- Dissolvenze: le dissolvenze riguardano il cioè piacere nel ricordare e guardare le cose con distacco, anche se i ricordi sono vaghi e offuscati.
- Convivenze, che hanno a che fare col raccontare ad altri le storie che abbiamo recuperato dalla memoria.
- Ricomposizioni: nel provare a comunicare la nostra storia la plasmiamo e mettiamo in relazione i ricordi in modo nuovo, che ci aiuta a ricomporci e a creare spazi nuovi nella nostra mente. Abbiamo creato una storia nuova, una trama nuova.
- Invenzione. E’ il passaggio alla scrittura dell’autobiografia, che non è il racconto dei meri fatti, ma ha in sé anche l’aspetto della fiction e della rappresentazione. C’è una manipolazione inevitabile perché si creano altre vite, altri personaggi. Una moltiplicazione di sé che ci fa bene.
- Spersonalizzazioni: riguardano l’uscire da noi stessi per cercare le storie di vita degli altri.
Le storie degli altri
Il potere di cura dell’autobiografia è forte anche se non si tratta di scrivere la propria storia ma di leggere quella degli altri. A chi non è capitato di leggere la biografia di un famoso cantante o sportivo e trovarci spunti personali?
Quello che succede leggendo la vita di altri è che aiuta a ripensare alla propria, oppure spinge a ispirarsi alle scelte fatte da queste persone, ad ammirarne il coraggio. Altre volte lo scopo è evadere, provando a vivere la vita di un altro.
Ciò che è stato forse poteva compiersi altrimenti, la storia avrebbe potuto conoscere altri finali, ma, comunque sia, ora quella storia è ciò che è. E si tratta di cercare di amarla poiché la nostra storia di vita è il primo e ultimo amore che ci è dato in sorte (D. Demetrio).
Sia nello scrivere l’autobiografia che nello scrivere o leggere la biografia di un altro si compie un esercizio di osservazione e di consapevolezza, che non può che fare bene, ad ogni età. E’ un lavoro orientato tanto al passato quanto al futuro. Anche quando partiamo dal raccontare chi siamo stati, cosa abbiamo compiuto, come abbiamo vissuto, la tensione è rivolta al mondo, perché tocchiamo storie e personaggi che, pur in collegamento con noi, diventano altro da noi e ci aprono alle cose che potrebbero essere ancora.
D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Milano, Raffaello Cortina, 1996